“Siamo tutti ruscelli dello stesso fiume”. Così si apre il documentario del regista cileno Patricio Guzmàn. Un preambolo poetico e visionario per un film che, attraverso la considerazione di come l’intero universo sia permeato dell’elemento acquatico, arriva a riflettere sul tema della memoria che lega il Cile – terra natia del regista – a un destino di sanguinosa violenza.

Un viaggio nella storia di un Paese dalla memoria scomoda che si dibatte nello sforzo di dimenticare ciò che non può essere dimenticato. Un film di cui parlare perché ci fa crescere e ci porta nuova consapevolezza.

la memoria dell'acqua

L’ACQUA E’ IL TRAMITE TRA NOI E LE STELLE

I nostri corpi, i sassi così come le stelle sono composti d’acqua e qual è la prerogativa dell’acqua? Quella di adattarsi, di prendere la forma del corpo che incontra, ma non solo: l’acqua ha memoria e nel suo scorrere, in un continuo circolo vitale che attraversa i tempi e le epoche, prima o poi riporta a galla quel che ha inghiottito.

L’autore attraverso la descrizione della tragica fine del popolo Selknams – originario della Patagonia, nel sud del Cile – porta l’attenzione sulla violenta brutalità con cui si è imposta la moderna civiltà occidentale.

la memoria dell'acqua

Una violenza che ha intriso di sangue la terra cilena per riproporsi, decenni dopo, attraverso l’eccidio perpetrato da Pinochet sulla sua stessa gente. La memoria dell’acqua nasce allora prima di tutto da una necessità, dal bisogno intimo e personale dell’autore di portare a testimonianza la storia di un popolo intero.

la memoria dell'acqua

IL BOTTONE DI MADREPERLA

Un popolo, quello Cileno, che ritrova le sue origini primordiali in un bottone di madreperla – che dà il titolo al documentario nella sua versione originale – restituito dall’acqua dopo decenni. Un bottone incrostato fra la ruggine di una rotaia in fondo al mare, una di quelle rotaie che al tempo della dittatura di Pinochet servivano a legare i corpi degli sventurati che poi sparivano inghiottiti dall’Oceano.

Un Oceano, quello che lambisce il Cile, che i nativi del sud avevano imparato a domare. Un mare con cui loro erano in grado di vivere in simbiosi, sfidandone i pericoli e le asperità sulle loro piccole canoe. Nativi dagli occhi dolci e disperati cui la civiltà europea ha tolto l’anima, per un bottone.

la memoria dell'acqua

La genialità nella scrittura di questo capolavoro, che non a caso ha vinto il premio a Berlino per la miglior sceneggiatura, è stata quella di aver saputo creare un nesso originale tra i concetti cardine di acqua, violenza e memoria.

Un viaggio nel tempo e nello spazio come quello intrapreso da Jimmy Button, indigeno della terra del fuoco che il capitano FitzRoy nell’800 si preoccupò di educare e “civilizzare” portandolo in Inghilterra. Pare che Jimmy accettò di seguirlo in cambio di un bottone. Quando anni dopo venne riportato nella terra d’origine aveva ormai perso la sua identità.

Con un viaggio oltreoceano – che per Jimmy significò il passaggio dal paleolitico alla Rivoluzione industriale – si aprirono le rotte per i coloni che in pochi anni portarono alla decimazione dei popoli del sud e avviarono quella spirale di violenza che sembra aver contaminato il suolo cileno. Una violenza indicibile, di cui è necessario mantenere viva la memoria, come fa l’acqua di cui siamo composti.

 

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